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Il “Pacchetto Sicurezza” mette a rischio i diritti fondamentali
della persona
In merito al “pacchetto sicurezza” e alle norme relative all’immigrazione e preoccupati per
il concreto rischio di vedere messi in discussione alcuni tra i diritti umani fondamentali,
proponiamo le seguenti riflessioni.
È per noi già fonte di perplessità ricorrere all’uso del termine “sicurezza” mettendolo in
relazione alle modifiche delle norme sui ricongiungimenti familiari e sul riconoscimento
dello status di rifugiato politico: quasi che queste regole possano avere a che fare con la
sicurezza dei cittadini e non, invece, essere considerate provvedimenti di un eventuale
“pacchetto famiglia”.
La lunga serie di divieti, poi, declinati nel Disegno di legge n°733/08, sembra far prevalere
una logica repressiva mirante a “rendere la vita impossibile” allo straniero che si trovi in
situazione di irregolarità dal punto di vista dell’ingresso o del soggiorno. Lo dimostrano,
ad esempio, alcuni provvedimenti oggetto di dibattito, suscettibili ancora di modifica e/o
ratifica, relativi a chi non è in possesso del permesso di soggiorno:
– divieto di accedere agli atti dello stato civile; divieto di accedere ai servizi sociali;
divieto di contrarre matrimonio e di inviare i soldi in patria tramite money trasfer;
inoltre:
– soppressione del divieto per il personale sanitario di segnalare la presenza dello
straniero irregolare che chieda di essere assistito
– introduzione del reato di clandestinità sanzionato con un’ammenda da 5.000 a
10.000 euro
– possibile prolungamento dei tempi di trattenimento nei Centri di identificazione e di
espulsione (CIE)
– impossibilità di ottenere l’iscrizione anagrafica (che per i comunitari costituisce il
provvedimento equipollente al permesso di soggiorno) in assenza di una abitazione
conforme ai regolamenti comunali.
Se le norme passassero l’Italia rinnegherebbe di fatto alcuni diritti fondamentali
della persona, che si è invece impegnata a tutelare in sede di convenzioni
internazionali.
Rispetto alle proposte contenute nel pacchetto sicurezza almeno tre sono gli interrogativi
che riteniamo vadano posti al legislatore e all’opinione pubblica.
a) Nel Disegno di legge non viene indicata nessuna norma volta a ridurre il
fenomeno dell’irregolarità. Questa, nel nostro Paese, ha raggiunto il numero di
650.000 persone, non solo per la elevata pressione migratoria, ma soprattutto per
l’irrazionalità dell’attuale sistema di regolazione1. Su questo punto, occorre
superare una “grande ipocrisia” secondo la quale si può fare ingresso in Italia
solo dopo la stipula del contratto di lavoro, un “dopo” che rischia di non avvenire
mai o troppo tardi. Forse va studiato un diverso meccanismo per far incontrare
domanda e offerta una volta giunti nel nostro Paese. Fino a che questo nodo non
sarà sciolto, gli interessi convergenti della pressione migratoria e del sistema
imprese\famiglie faranno sì che l’Italia si riempia di lavoratori irregolari, in
attesa per anni di “essere regolarizzati” (previo ritorno in patria) con il
farraginoso sistema dei flussi.
b) Le norme sembrano ignorare che l’ingresso e il soggiorno irregolari non sono
semplicisticamente catalogabili come forme di “illegalità”: chiunque, per il solo
fatto di essere una persona umana, porta con sé un bagaglio minimo di diritti,
che devono essere rispettati; diritti scritti a chiare lettere nell’art. 2 del Testo
Unico dell’immigrazione: il diritto alla salute, a un minimo di assistenza sociale,
alla scuola per i figli, a difendersi in giudizio contro un eventuale provvedimento
di espulsione ecc. Il divieto di matrimonio (non quelli fasulli ovviamente), il
divieto di accedere comunque ai servizi sociali o addirittura di denunciare allo
stato civile la nascita del figlio, così come le altre norme richiamate, non paiono
per nulla rispettose di tale principio.
c) Infine, queste norme – come tutte quelle dettate da esigenze di immagine e di
consenso – non appaiono immuni da elementi di irrazionalità. Se la
1 Dati dai Dossier Caritas. La rilevazione precedente aveva stimato il numero degli irregolari in 364.000 unità. La
situazione è dovuta per più del 70% non a “sbarchi” ma, paradossalmente a irregolarità “sopravvenute” dopo un ingresso
regolare
“penalizzazione” dell’ingresso illegale venisse davvero applicata, si
prospetterebbero in Italia 650.000 processi, volti a comminare sanzioni
pecuniarie che nessuno straniero vorrà o potrà pagare, e che comunque si
svolgeranno a totale carico dei contribuenti, ivi compresa l’assistenza legale agli
imputati mediante il gratuito patrocinio. Terminati detti processi, gli impedimenti
all’espulsione materiale dello straniero resterebbero esattamente quelli che erano
prima: difficoltà di trovare un mezzo per il rimpatrio, di reperire le somme per
pagare il mezzo, di concordare il rimpatrio con lo Stato di appartenenza.
Aggiungiamo che, nel frattempo, i “colpevoli” saranno entrati in contatto con
migliaia di pubblici ufficiali (medici, infermieri, insegnanti, ecc.) i quali
dovrebbero presentare denuncia e che, se non lo facessero, rischierebbero, a loro
volta, un processo per violazione dell’art. 361 codice penale. Quel che ne risulta
è una illogica moltiplicazione di attività giudiziarie senza che la questione della
irregolarità possa con questo fare un passo neppure minimo verso la soluzione. A
meno che non si varino norme dal valore simbolico, nella tacita speranza che le
stesse non vengano effettivamente rispettate e fatte applicare dai giudici: con il
risultato di infliggere un colpo davvero mortale al già debole senso dello Stato e
della legalità. Infine, nei confronti della pressione migratoria, l’effetto
“dissuasivo” dell’una o dell’altra legge è sempre stato praticamente nullo, come
ben dimostra la vicenda di questi mesi, quando un progressivo irrigidimento
delle norme ha coinciso con un aumento vertiginoso degli sbarchi.
Di fronte a questa situazioni, non ci appelliamo al pur importante dovere comune di
solidarietà, ma alla ricerca di soluzioni efficienti e razionali quale dovere primario della
politica.
L’esasperazione della logica repressiva (per esempio rinchiudere nei CIE, per mesi e
mesi, 650.000 persone in attesa di rimpatrio) non è né efficiente né razionale, perché
nessun fenomeno complesso può essere regolato in quella sola logica.
Occorre invece porre in essere un’intelligente politica di incentivi al rispetto della
regolarità, che preveda, ad esempio, il prolungamento del permesso di soggiorno per
chi dimostra stabilità di occupazione e l’abolizione del divieto di reingresso per chi
ottempera all’espulsione e regolarizza la sua posizione.
Per fare questo occorre però che venga messa da parte la pretesa di leggere qualsiasi
fenomeno sociale nella sola ottica della sicurezza e che si mettano in atto anche quegli
interventi promozionali, di sostegno e di integrazione, quali vie positive e lungimiranti
per edificare nel tempo una società inevitabilmente multietnica e multiculturale.
Documento sottoscritto da: Azione Cattolica Ambrosiana, Acli, Comunità di S.
Egidio, Gruppo Promozione Donna, Movimento dei Focolari.