Lo sapeva, certo che lo sapeva. Eppure quando sente il suo nome gli occhi si fanno gonfi di lacrime, non le trattiene e quelle scivolano giù. «Rosy Bindi presidente del partito democratico», dice Maurizio Migliavacca, la sala le regala un lungo e sentito applauso, Livia Turco, la sua sponsor iniziale le grida «Vai Rosy». E lei, la pasionaria, quella che con sette parole ha messo a posto il premier (non sono una donna a sua disposizione) e risvegliato un movimento di ribellione a quella certa idea per cui se le donne non sono sventole da prima pagina valgono per forza un po' meno, non riesce a trattenere l'emozione. Al telefono confessa: «È stato un riconoscimento molto importante per me. È la prima volta, dopo tanti anni passati nella Dc prima, nel Ppi poi, nella Margherita, nel Pd, sempre a lavorare per il progetto comune, che qualcuno mi riconosce un ruolo nel partito. Nel mio partito». Vero, è vicepresidente della Camera, «ma è una cosa diversa».
Nascono da qui quelle lacrime, da quel riconoscimento mai preteso eppure desiderato. Venerdì ha sentito Romano Prodi al telefono. «Mi dai la tua benedizione?». «Vai Rosy, fai un buon lavoro». Nel giorno della sua nomina è all'amico di sempre, al padre nobile dell'Ulivo, che rivolge il suo ringraziamento più sentito: «Il mio primo saluto va a chi è e rimarrà il primo e unico presidente di questa Assemblea, Romano Prodi».
Il secondo passo è quello di affermare che la sua non sarà una presidenza di sostanza. «Devo far funzionare l'assemblea – spiega – e rendere effettivo uno dei contenuti della mozione Bersani: fare degli organi del partito luoghi decisionali. L'unica sede della pluralità è quella». Fissa subito un nuovo appuntamento: entro dicembre ci si rivede tutti, perché «l'assemblea nazionale dovrà essere il cuore della vita del partito». Il primo messaggio istituzionale che le arriva è quello della ministra Mara Carfagna: «Buon lavoro a Rosy Bindi. Ritengo particolarmente importante il fatto che, da oggi, a ricoprire un ruolo di sintesi, delicato e rappresentativo, sia una donna». Lei ringrazia e aggiunge: «Sono fiera di stare in un partito che non si limita a garantire una rappresentanza del 50% negli organi dirigenti».
Enrico Letta sta in fondo alla sala. «Complimenti, sei il nuovo vicesegretario». «Aspettiamo, ancora mezz'ora e poi accetto i complimenti». La mezz'ora passa ed ecco la nomina ufficiale. L'ex delfino di Andreatta, legato a Bersani dalla sensibilità verso la concretezza della politica, inizia la nuova avventura fianco a fianco con il segretario. Così come iniziarono la campagna congressuale insieme, in una fabbrica di ceramiche a Sassuolo, nel Modenese. «Bersani è partito con il piede giusto. Lo ringrazio anche per la fiducia che mi ha dato- dice il neovicesegretario – . È giusta la scelta di coinvolgere chi ha perso il congresso e di investire su chi ha vinto, è un giusto equilibrio e a due settimane dalle primarie possiamo dire che archiviamo il clima di scontro».
di Maria Zegarelli – da L'Unità