E ora niente più voti di scambio
Alla fine ce l’abbiamo fatta. E abbiamo rispettato l’impegno preso con l’associazione Libera: noi parlamentari cosiddetti “braccialetti bianchi”, cioè coloro che hanno aderito alla campagna “Riparte il futuro”, siamo fieri di annunciare che è stata votata l’approvazione della modifica all’articolo 416 del Codice penale, che viene denominata ter, con cui si è rafforzata la legge anticorruzione nella parte che regola il voto di scambio politico mafioso.
Vi riporto integralmente la nuova formulazione del testo: “Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti con le modalità previste dal terzo comma (le intimidazioni tipiche dell’associazione mafiosa, ndr) dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi procaccia voti con le modalità indicate al primo comma (far parte di un’associazione mafiosa, ndr)”.
Ribadisco la mia soddisfazione per aver aderito a questa battaglia e continuerò a indossare il braccialetto bianco simbolo della campagna proprio per il significato che esso rappresenta.
Alfano e la spy story all’italiana
Un caso degno di una spy story. Eppure è tutto vero: Alma Shalabayeva, la moglie del banchiere e dissidente kazako Muxtar Ablyazov, a fine maggio è stata espulsa dall’Italia in fretta e furia assieme alla figlioletta Alua, di 6 anni, con l'accusa di aver falsificato il passaporto. La storia di Ablyazov è lunga e controversa, non priva di lati oscuri. Ma il punto, per il Governo italiano, è che una donna e una bambina, ospiti di parenti nei pressi di Roma già da diversi mesi, tanto che la piccola frequentava regolarmente una scuola, sono state rimpatriate senza tanti complimenti e probabilmente con non pochi rischi per la loro incolumità.
Di chi la colpa? Se Emma Bonino e la Farnesina si sono subito dissociati dal fatto perché non spetta agli Esteri occuparsi di immigrati, la croce è finita dritta addosso ad Angelino Alfano che oltre che vicepremier è Ministro dell’Interno e come tale avrebbe dovuto sapere – e semmai intervenire – per evitare che suoi uomini portassero a termine l’operazione. Ma come si sa, la mozione di sfiducia verso Alfano è stata bocciata dal Senato.
Personalmente posso dire che la relazione di spiegazione della vicenda tenuta alla Camera non dà adito a dubbi in quanto perfetta sia nei passaggi che hanno ricostruito gli eventi, sia nelle responsabilità dei protagonisti. Indubbiamente, e questo è un aspetto negativo, nella faccenda un ruolo importante è stato giocato dall'Ambasciatore kazako ed è risultato al di sopra delle sue possibilità e competenze. Al contrario, il ruolo giocato dal Ministro degli Interni non è sembrato all'altezza dei suoi compiti e ha messo in evidenza una mancanza di conoscenza di quanto stava avvenendo. La responsabilità diretta non può che ricadere sul Ministro per cui risultano motivate le critiche degli elettori del Pd a seguito della posizione assunta in Senato, ma ritengo che l'uso strumentale che ne è seguito abbia portato a colpire l'azione di Governo invece di chiedere in modo coeso l'assunzione di responsabilità del Ministro. La nostra forza deve essere una voce corale che va verso un’azione univoca, non un frazionamento sterile e strumentale.
La Lega non fa il prezzo
C’è un problema che assilla gli allevatori lombardi: il latte che producono le loro mucche deve essere pagato a un giusto prezzo dalle industrie di trasformazione. Ed è vero: lo scarto è di parecchi centesimi al litro. Tutto a favore dei rivenditori, ovviamente. Per ovviare a questo inconveniente, noi del Pd stiamo battendo da anni affinché si fissi un prezzo indicizzato del latte al litro, che sia commisurato al guadagno di tutti. In primis di coloro che lo producono.
Finalmente, a questa conclusione è arrivata anche Regione Lombardia. E il nuovo assessore regionale all’Agricoltura, il mantovano Gianni Fava, dopo qualche mese dall’insediamento della Giunta Maroni, ha convocato un “tavolo” per stabilire questo prezzo. Peccato che a mancare fosse proprio la parte più importante, quella industriale, appunto. Insomma, un fallimento su tutta la linea.
Da parte mia ho dichiarato senza mezzi termini che “l’assessore leghista non è stato in grado di trattare con gli industriali e pretende di andare in Europa a occuparsi di temi caldi e delicati come la Pac”. Chiaramente l’interessato è stato punto sul vivo e ha chiesto al Pd di fare proposte, non solo critiche. Le mie non sono mancate: Fava deve far rispettare le disposizioni dell’art. 62 del Decreto legge 27/2012 che disciplinano le relazioni commerciali nella filiera agroalimentare e in particolare i contratti che hanno per oggetto la cessione di prodotti agricoli e alimentari, laddove viene chiesto che sia definito il prezzo in modo concertato e non unilaterale.
Alla fine, del caso ha deciso di occuparsi direttamente la Ministra Nunzia De Girolamo che con il suo dicastero all’Agricoltura cercherà di rimettere in piedi il tavolo azzoppato che il Carroccio non sa come far star su.
Per non parlar delle pratiche
Vi ricordate la lunga diatriba sul maltempo? In sostanza, la stagione inclemente che ci ha accompagnato fino a poche settimane fa, ha messo in ginocchio l’agricoltura lombarda. Non sono cose lontane dal cittadino medio: alla fine sarà il consumatore a pagare di tasca propria le conseguenze di troppa pioggia e pochi pomodori, mais e frutta. Regione Lombardia doveva muoversi a chiedere lo stato di calamità che avrebbe innescato un meccanismo risarcitorio verso gli agricoltori. Ebbene, abbiamo scoperto in settimana che la pratica è ancora bloccata a Roma.
Proprio mentre stavamo per approvare la risoluzione che prevedeva anche questo riconoscimento, il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione non ha smentito il fatto che la quantificazione dei danni, che doveva arrivare dalla Regione, non è ancora completa. Meno male che da Milano hanno sempre accusato Roma di non mandare avanti l’iter!
A questo punto non resta che sollecitare nuovamente la Giunta regionale – cosa che noi del Pd abbiamo prontamente fatto – a darsi da fare e terminare le pratiche perché altrimenti rimarrà tutto fermo.