Milleproroghe e nuovi posti di lavoro
Via libera, questa settimana, alla Camera al decreto Milleproroghe, che in termini tecnici viene definito Proroga del termine per l’esercizio di deleghe legislative.
Molti gli interventi che sono frutto in larga parte del positivo lavoro svolto in Parlamento nel confronto con il Governo e con tutti gli attori interessati. Si dà una risposta concreta per il futuro di centinaia di lavoratori precari dell’Istat, dell’Istituto superiore di sanità e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che finalmente avranno la possibilità di accedere a contratti di lavoro a tempo indeterminato. Ma anche a un’altra categoria di lavoratori precari, attraverso la proroga della indennità di disoccupazione per i collaboratori coordinati e continuativi (la cosiddetta Dis-Coll) che si vedono interrompere il rapporto di lavoro.
Si dà una risposta concreta al bisogno di riorganizzare e rendere più efficiente il nostro sistema carcerario con l’assunzione di 887 unità di personale nella Polizia penitenziaria, attraverso lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi. Così come si affrontano altri temi di fondamentale importanza, tra cui una serie di semplificazioni fiscali o i 17 milioni di euro che andranno a finanziare la cassa integrazione in deroga nel settore della pesca e le diverse norme a sostegno delle popolazioni terremotate.
Altri interventi sono quelli per le fondazioni sinfoniche, per i distretti turistici, per i terremoti dell’Emilia e dell’Abruzzo, per la lotta all’evasione e le misure sulle pensioni, che prevedono che i pensionati non dovranno restituire le somme percepite in più nel 2015. Grazie a questo, evitiamo un taglio di pensione per tutti gli italiani a partire dal mese di aprile e per 4 mesi.
In carcere, ma a casa
L’altra faccia dell’incremento dei flussi migratori la conosciamo tutti: purtroppo, anche un aumento dei fatti criminosi, che poi rappresenta una delle cause del grave fenomeno del sovraffollamento carcerario. Uno strumento efficace per arginarlo è la procedura del trasferimento delle persone condannate nel Paese di origine. L’obiettivo non è punitivo, come qualcuno potrebbe pensare, ma anzi di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate, avvicinandole ai loro cari, alla loro provenienza, alla loro casa.
Per questo abbiamo approvato una mozione che impegna il Governo, tra l’altro, a proseguire nella promozione di accordi bilaterali volti a favorire il trasferimento dei detenuti provenienti soprattutto dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l’Italia, e, in particolare, da quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane, e a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri.
Il cane in ospedale? No, grazie
Sono rimasto basito dopo che ho scoperto che alcuni articoli del Regolamento di attuazione delle disposizioni della riforma della legge regionale 33/2009, il Testo unico sulla sanità, nei capitoli riguardanti le norme relative alla tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo di Regione Lombardia, prevedevano la possibilità di portare le bestiole dentro gli ospedali.
Infatti, dopo il parere positivo della Commissione consiliare Sanità, la Giunta ha dato il suo ok definitivo al regolamento di attuazione della norma. A questo punto, sarà mia premura interessare il Ministro della Sanità sul grave fatto dell’approvazione degli art. 22 e 23 del regolamento, quelli che, appunto, consentono l’accesso degli animali negli ospedali e nelle strutture sanitarie.
Non lo dico certo per cattiveria verso coloro che amano tanto i propri animali d’affezione, ma, da medico veterinario, credo che sia importante rispettare prima di tutto la salute dei pazienti ricoverati negli ospedali: immaginare che persone allergiche al pelo di cani o di gatti possano trovarsi in sala aspetto o in corsia con loro, mi fa pensare che non ci sia rispetto per i malati. E questo è solo un esempio, forse addirittura il meno pericoloso.
Il rischio più grande riguarda la lotta alle infezioni secondarie contratte negli ospedali, tanto che alcuni hanno lanciato un vero e proprio allarme, e portarci gli animali non va certo in questo senso. Regione Lombardia ha avuto proprio una bella idea! Oltre tutto, i due articoli vengono inseriti nelle norme sul randagismo, dove c’entrano talmente poco da risultare completamente avulsi.
Farmaci in stalla, non ci siamo capiti
In settimana ho ricevuto risposta dal Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico alla mia interpellanza urgente sulle azioni che intende fare il Governo in merito all’adozione di misure tese a migliorare i servizi di farmaco-vigilanza e farmaco-sorveglianza veterinaria.
Se ricordate chiedevo se il Ministro della Salute non ritenesse che la tracciabilità del farmaco veterinario negli allevamenti di animali da reddito senza scorte fosse troppo bassa visto che i dati indicano che si arriva a verificare solo il 21% di allevamenti bovini e il 7% di allevamenti di capi suini. Invece, sono stati controllati l’89% di allevamenti bovini con scorte e l’85% di allevamenti suini. A queste verifiche sfuggono il numero maggiore di aziende zootecniche e il maggior numero di capi. Inoltre, se tutti gli allevamenti senza detenzione di scorte siano stati controllati almeno una volta ogni tre anni e se le aziende controllate rappresentino almeno il 40% degli animali da reddito a seconda delle specie ogni anno. Infine, se il Ministero, non ritenga necessaria una migliore organizzazione dei servizi di farmaco vigilanza e farmaco sorveglianza veterinaria.
Il Sottosegretario mi ha risposto che gli allevamenti autorizzati alla tenuta delle scorte e anche quelli in cui viene dichiarata l’assenza di trattamento sono considerati ad alto rischio e pertanto la frequenza dei controlli è di almeno una volta all’anno. Per quelli sprovvisti di scorta le ispezioni avvengono sulla base del rischio: alto un controllo annuo, medio ogni due anni, basso ogni tre anni. E per quanto riguarda gli 8mila veterinari pubblici, mi ha detto che servono a superare le carenze di organico di regioni e province autonome.
Allora, dico io, forse è giunta l’ora di ristrutturare il sistema dei controlli veterinari e di fare interventi tenendo conto dell’azione che svolgono i liberi professionisti. Ma nel complesso la risposta è stata insufficiente e semplicistica: i criteri indicati dal Ministero non sono quelli che vanno nell’ottica di una riduzione del consumo e una tracciabilità dei farmaci. Quindi, non corrispondono alla realtà. Mi sembra di aver percepito che non si ha presente quello che sta avvenendo dentro le aziende agricole.
Paolo Cova