Rai, di più per tutti
Questa settimana, alla Camera, abbiamo approvato la nuova legge sulla riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo. In realtà, il provvedimento si limita agli aspetti di direzione e gestione, la cosiddetta governance, e non riguarda l’intero sistema radiotelevisivo. L’obiettivo è costruire il servizio pubblico del futuro, ovvero porre le condizioni per una governance che accompagni la trasformazione della Rai da broadcaster a media company, capace di essere presente e produrre contenuti per tutte le piattaforme, che sappia tenere conto delle enormi trasformazioni che hanno attraversato il sistema dei media audiovisivi e radiofonici di questi anni, con una particolare attenzione all’innovazione tecnologica.
In particolare, nella legge grande spazio viene dato alla formulazione delle funzioni dell’amministratore delegato, perché la prima condizione per valorizzare il ruolo industriale della Rai è quella di dotarla di una guida chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente, responsabilizzata: un capo azienda che sia in grado di prendere le decisioni e di essere chiamato a risponderne. Serve una guida manageriale vera, come quella di ogni altro player internazionale.
Non si tratta di regolare la presenza di trasmissioni più o meno interessanti, in quanto il tema del servizio pubblico radiotelevisivo si inquadra nell’ambito dell’articolo 21 della Costituzione che prevede il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero e, dunque, il diritto di libera espressione richiede la necessità del pluralismo nell’informazione. Il servizio pubblico radiotelevisivo è concepito come strumento per realizzare questi principi.
La cultura è un servizio essenziale
Ricorderete sicuramente la notizia della ritardata apertura al pubblico del Colosseo, avvenuta in un giorno in cui si teneva un’assemblea sindacale dei suoi lavoratori, regolarmente convocata e comunicata. Tuttavia, cadeva in un periodo di alta stagione turistica, provocando, oltre ai disservizi per gli utenti, anche un danno all’immagine del Paese, già verificatosi in passato in occasione di un analogo caso accaduto a Pompei. Ma proprio il fatto che queste assemblee fossero regolarmente convocate ha messo in luce la necessità di modificare la normativa che ha mostrato evidenti lacune nella parte in cui non permette la fruizione di un bene culturale, fatto rilevante in un Paese come il nostro che ospita il maggior numero di siti Unesco e di flussi turistici.
Attualmente i custodi e chi vigila sulla sicurezza dei luoghi d’arte rientrano fra i servizi pubblici essenziali, tuttavia, con questo decreto anche le altre figure che lavorano presso gli stessi luoghi, saranno equiparate.
Con l’approvazione del decreto infatti, si regola il diritto dei lavoratori in primis, ma anche quello dei cittadini fruitori del bene che rappresenterà un diritto costituzionalmente garantito. Da oggi l’apertura al pubblico di musei, istituti e luoghi di cultura pubblici rientra nei servizi pubblici essenziali. Il diritto allo sciopero è sempre garantito, al pari dell’istruzione, della sanità o dei trasporti. Dunque, le modalità di sciopero in quest’ambito d’ora in avanti saranno soggette a specifiche disposizioni, le stesse applicate nei settori del trasporto pubblico o del servizio sanitario, e riguarderanno tutti i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici e i complessi monumentali pubblici: obbligo di preavviso di almeno 10 giorni; definizione delle prestazioni minime garantite; comunicazione scritta della durata, della modalità di attuazione e delle motivazioni dello sciopero.
Genetica in stalla, serve più controllo
Dati genetici, produttivi, qualitativi e riproduttivi messi a disposizione delle singole aziende agricole. Fine della commistione controllore controllato fra chi raccoglie i dati e i centri genetici che poi commercializzano materiale seminale. Collaborazione tra le figure professionali presenti in stalla per avere consulenza e assistenza tecnica con un veterinario e agronomo aziendale che possano dare rilancio alla produzione agricola italiana. È questo che ho chiesto, al termine delle audizioni in Commissione Agricoltura della Camera con i soggetti interessati, nell’ambito dell’esame del disegno di legge disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell’acquacoltura.
la mia proposta scaturisce dal fatto che in Italia, con circa 11 milioni di tonnellate di latte prodotti e circa 1.700.000 bovine da latte presenti, abbiamo una produzione per capo di circa 63 quintali, che è più bassa rispetto ad altre nazioni europee che li allevano al pascolo, quindi rendono meno soldi con spese maggiori per l’alimentazione.
Dunque, le capacità di selezione genetica nel nostro Paese vanno ampiamente migliorate, ed è necessario rimettere mano al settore zootecnico per una diversa organizzazione del lavoro. Come? I dati devono essere messi a disposizione delle aziende di modo che la consulenza aziendale abbia conoscenza dei dati reali. Secondo: deve finire questa sovrapposizione di figure tra controllore e controllato, per cui chi fa la selezione genetica e certifica i dati non può appartenere alla stessa associazione. Infine, coloro che collaborano in stalla e aiutano gli allevatori nelle loro scelte devono fare squadra. È l’unico modo per avere un controllo di quanto succede.
Quote latte: non c’entra l’algoritmo
L’ordinanza di archiviazione del Gip sul caso Agea e quote latte dice in modo chiaro che non è una questione di algoritmo. Questo certifica che il cambio di algoritmo non ha contribuito a modificare la quota latte italiana, in quanto la produzione totale viene calcolata con i Modelli L1 e controllata da Agea. Il dubbio, che ho segnalato più volte, anche in Aula e con interpellanze, è che non ci sia correlazione tra le produzioni delle singole stalle e la reale presenza di bovine da latte.
Ma allora, i Modelli L1 sono giustificati da una presenza reale di capi bovini? Un esempio sono le 30.000 vacche da latte che spariscono regolarmente ogni anno in 4 regioni italiane quando in altre regioni, con il triplo di capi bovini, se ne smarriscono solo 1200. E poi: queste vacche servono a giustificare le produzioni e prendere i contributi Pac ma non esistono e devono essere denunciate come smarrite? Sono domande importanti, se si pensa che anche la Corte europea ha condannato l’Italia, con sentenza del 2 dicembre 2014, per mancati controlli sulle produzioni di latte bovino in diverse regioni. Basta verificare il numero dei parti annuali di bovine da latte per avere idea di quanti capi realmente producano latte in Italia e quanto latte possano realmente produrre. Perché senza vacche non si fa il latte e non basta un Modello L1.
Puntiamo sulle fonti rinnovabili
Ho sottoscritto un’interpellanza urgente, al Ministro dello Sviluppo economico, sul tema delle energie rinnovabili e sull’opportunità di insistere nella ricerca, spesso impattante, di combustibili fossili.
Al Ministro chiediamo se non ritenga doveroso escludere dalla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza finalizzata alla valorizzazione di risorse energetiche nazionali, la prospezione e il sondaggio di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e in terra; se non ritenga necessario prevedere la sospensione delle attività sia di esplorazione che di ricerca in zone ad elevato rischio sismico, vulcanico, tettonico, nonché a prevedere il blocco del rilascio di autorizzazioni in zone di particolare ripopolamento ittico; se non ritenga opportuno prevedere il blocco del rilascio di future autorizzazioni sia di esplorazione che di ricerca in prossimità di aree di particolare interesse turistico; se non ritenga necessario e urgente integrare e modificare in tempi brevi la Strategia energetica nazionale, al fine di promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili, riducendo, nel contempo, la produ zione di energia da fonti fossili.
Paolo Cova