La battaglia contro il doping dell’on. Paolo Cova, parlamentare del Pd, continua e questa volta nel mirino ci sono gli atleti appartenenti ai gruppi sportivi militari e delle forze di polizia, quelli che in molte discipline, negli ultimi decenni, hanno rappresentato il fiore all’occhiello dello sport nazionale e il vero medagliere italiano.
“È necessario capire se i gruppi sportivi militari hanno vigilato sui propri atleti rispetto alla problematica doping e alle mancate segnalazioni di reperibilità che sono alla base dello scandalo dei controlli, in quanto non hanno comportato, il più delle volte, nessuna conseguenza – spiega Cova –. Si consideri che quasi il 90 per cento degli atleti che sono andati alle olimpiadi vestono la divisa. Anzi, il doping nello sport va combattuto in primo luogo proprio dai gruppi sportivi delle forze armate e delle forze dell’ordine che sono i tutori della legge e i primi rappresentati dello Stato nello sport. Per costruire uno sport pulito e senza ombre, i comandanti di questi gruppi sportivi devono mettere in campo ogni azione per evitare che i propri atleti cadano nella tentazione del doping e non devono delegare solo alle federazioni questi compiti”.
E aggiunge: “Mi auguro che nessuno dei nostri atleti militari o delle forze dell’ordine sia coinvolto nelle mancate notifiche o nei test mancati, ma è importante appurare se ciò è effettivamente accaduto e come sono intervenuti i rispettivi comandanti”. Proprio per questo, per Cova “è giusto aspettarsi una procedura più stringente, perché questi atleti rappresentano tutti noi e le istituzioni di questo Paese”.
L’interrogazione a risposta scritta depositata stamattina da Cova chiede, perciò, ai Ministri competenti di sapere “se i comandanti dei Gruppi sportivi erano a conoscenza che atleti di tutte le discipline sportive appartenenti al proprio gruppo sportivo non avevano provveduto a inviare il modulo della propria reperibilità come previsto dal Codice antidoping del Wada e quale sistema di controllo interno abbiano messo in atto in questi anni per prevenire il mancato invio della reperibilità e del possibile uso di sostanze dopanti da parte dei propri atleti”.
Ma anche “se i comandanti dei Gruppi sportivi, dopo le notizie delle agenzie di stampa sugli interventi fatti dalla Procura di Bolzano a settembre 2014, si siano attivati per verificare che i propri atleti non fossero nella condizione di aver disatteso a questo obbligo di inviare la reperibilità e quali provvedimenti abbiano messo in atto nei confronti degli atleti che avessero eventualmente disatteso a questo obbligo”.
Infine, “se gli atleti appartenenti ai gruppi sportivi che risultano convocati per chiarimenti dalla Procura antidoping, abbiano concordato una linea difensiva comune assumendo un unico studio legale a difesa e se tale percorso sia stato condiviso e concordato dai comandanti e responsabili dei gruppi sportivi”.
Roma, 18 febbraio 2015