On. Cova: “Per il Made in Italy della carne suina non basta l’etichetta: gli animali vanno allevati in Italia”
Non basta un’etichetta per dare a un prodotto alimentare, in particolare se si tratta di carne suina, il marchio dell’italianità. È assolutamente necessario che quel prodotto di derivazione suinicola abbia davvero alle spalle una filiera tutta peninsulare. È la sintesi dell’intervento dell’on. Paolo Cova, parlamentare del Pd, fatto oggi, venerdì 5 settembre 2014, in Aula alla Camera, dopo la risposta ottenuta a un’interrogazione sul tema.
“Il Governo ha spiegato tutti gli interventi che sta facendo sull’etichettatura, per assicurare i consumatori sulla reale provenienza delle carni – spiega Cova –. Sicuramente si stanno facendo degli importanti provvedimenti per contrastare il cosiddetto italian sounding e a sostegno del vero Made in Italy, a partire dalla tracciabilità e non dimenticando una questione che a me sta particolarmente a cuore come l’allevamento in condizioni di benessere”.
Ma timbri, etichette e marchi non sono sufficienti, secondo Cova, se non si va a incidere sull’inizio della filiera della lavorazione: “La carne suina lavorata e trasformata in Italia è di 2milioni 300mila tonnellate l’anno, ma un milione arriva dall’estero. Quindi, più del 40% della carne suina o dei suini vivi arrivano da altri Paesi: questo è un problema reale perché poi il lavorato viene immesso sul mercato come carne italiana. E d’altra parte, l’industria della trasformazione ha necessità di avere carne suina da lavorare. Il problema sta chiaramente anche nel fatto che il prezzo che viene pagato all’estero è inferiore”.
Ma per Cova il prodotto nato, cresciuto e macellato in Italia ha una marcia in più: “L’etichettatura non è solo un simbolo: ognuno di noi sa che un suino prodotto nella pianura padana o in Germania ha caratteristiche diverse, ogni territorio ha un’alimentazione diversa. Così come i formaggi devono essere prodotti in un determinato territorio perché diversi sono l’erba, il fieno, il mais, così è per la carne. Allevare e lavorare un suino a Parma o a San Daniele non è la stessa cosa che allevarlo all’estero e macellarlo in Italia: cambiano il clima, la conformazione del suolo, i metodi di produzione. Sono passaggi fondamentali: la tipicità italiana non può essere bypassata con un’etichetta o un marchio”.
Per questo Cova ha chiuso il suo intervento invitando il Ministero dell’Agricoltura “a stringere un accordo all’interno della filiera che darà un valore aggiunto a tutta la nostra produzione e farà davvero guadagnare il mercato”.
Roma, 5 settembre 2014