Ci pensiamo mai alla nostra Libertà?
Girando i giorni scorsi, per una breve vacanza, per i luoghi dove è avvenuto lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944 mi sono posto spesso questa domanda.
Davanti a tanti ragazzi che gratuitamente si sono sacrificati, ben sapendo che molti tra loro nemmeno avrebbero raggiunto la spiaggia, sono rimasto molto turbato.
Colpisce la decisione di sacrificarsi per la libertà di persone che non si conoscono, spesso di un’altra nazionalità con abitudini, a volte, molto diverse dalle proprie. Sacrificarsi anche per quanti sarebbero venuti dopo, per noi, perché fossimo liberi: liberi di scegliere, liberi di pensare, liberi anche di non voler essere tali.
E come stride questa decisione se si pensa che, ora, si fa fatica a trovare persone disponibili a dedicare un po’ del proprio tempo per il volontariato. Tutti impegnati e poco disponibili per gli altri, assistiamo al prevale dell’individualismo e dell’egoismo così lontani dall’altruismo che ha mosso quei giovani.
Vorrei, poi, fare un’altra considerazione. In ogni museo che ho visitato, filmato che ho visto, documento proposto appare chiaro che il nazismo e il fascismo hanno causato una enorme tragedia umana, caratterizzata da morte, distruzione infinito dolore.
Non ci sono tentennamenti su questo giudizio, non ce ne possono essere. Per questo meraviglia osservare quanto si sta cercando di fare in Italia in questi ultimi anni.
Un conto è adoperarsi per favorire un clima di riconciliazione e di pacificazione. Un conto è negare quanto accaduto, scordarsi di quei totalitarismi che, giorno dopo giorno, hanno annullato la libertà delle persone fino ad arrivare a distruggerle annullandole nei lager.
Visitando i tanti cimiteri di guerra è risultato chiaro questo concetto: rispetto per il dolore e la sofferenza del singolo, ma resta netto il giudizio morale su chi è stato causa di questa sciagura.
Infine un’ultima osservazione. E’ possibile comportarsi come turisti che entrano ed escono dalle vicende degli uomini davanti alla Storia: indifferenti, preoccupati esclusivamente della propria vita e dei propri impegni. Non curanti che siamo anche noi chiamati in causa, interpellati perché tutto non sia accaduto invano. Come evitare questo rischio? Mi è stato suggerito un brano del testo di Erich Fromm, “Avere o essere?”, che sintetizza bene quello che intendo dire. Lo riporto, a chiusura di queste brevi righe, lasciando alla vostra riflessione il loro commento.
“La democrazia può resistere alla minaccia autoritaria soltanto a patto che si trasformi, da democrazia di spettatori passivi, in democrazia di partecipanti attivi, nella quale cioè i problemi della comunità siano familiari al singolo e per lui importanti quanto le sue faccende private.”