Cultura e turismo: non più cenerentole
Pompei e la Reggia di Caserta, l’Enit, le fondazioni lirico-sinfoniche, il mecenatismo: questa settimana ci siamo occupati di cultura e turismo, approvando il decreto legge sul tema con 285 voti favorevoli, nessun contrario e 159 astenuti.
L’obiettivo del provvedimento è reperire risorse, anche mediante interventi di agevolazione fiscale, per garantire la tutela del patrimonio culturale e lo sviluppo della cultura, porre rimedio allo stato di emergenza in cui versano vari siti culturali, fra i quali, appunto, Pompei e la Reggia di Caserta, rilanciare il turismo e la competitività dell’offerta turistico-culturale italiana, anche tramite processi di riqualificazione e digitalizzazione delle strutture ricettive, potenziare la fruibilità di questo patrimonio, riorganizzare l’Enit-Agenzia per il turismo. E sono previsti anche un beneficio fiscale per chi ristruttura vecchie sale cinematografiche, zone a burocrazia zero e incentivi per le start up di imprese del turismo, una ‘Carta del turista’ che permetterà di ottenere sconti e promozioni per la fruizione integrata dei servizi pubblici di trasporto e dei biglietti d’ingresso nei musei e nei luoghi della cultura.
Uno degli aspetti più rilevanti di questo testo è il cosiddetto Art bonus che serve a incentivare il mecenatismo. In sostanza si prevede un credito d’imposta del 65% per le donazioni, anche a favore dei concessionari e affidatari di beni culturali pubblici, per la realizzazione di interventi di manutenzione, protezione e restauro.
Inoltre, per migliorare l’attrattività del Paese, la tax credit per la digitalizzazione delle imprese turistiche (credito di imposta del 30% dei costi sostenuti) è stata estesa anche alle agenzie di viaggio e ai tour operator che portano turisti in Italia. E, grossa novità, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge ci saranno nuovi criteri per la classificazione degli alberghi per adeguarli al livello europeo e internazionale.
Quei prestiti agli ultrasessantacinquenni
Questa settimana abbiamo approvato anche una proposta di legge di modifica di non facile comprensione, ma che proverò a spiegare con termini tecnici, ma corretti. In sostanza, abbiamo dato il via libera alla disciplina sul prestito vitalizio ipotecario. Di cosa si tratta? È quell’istituto che “ha per oggetto la concessione da parte di aziende ed istituti di credito nonché da parte di intermediari finanziari, di finanziamenti a medio e lungo termine con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti”.
La proposta di legge modifica alcuni aspetti formali della disciplina introdotta con la legge del 2005 che andava sotto il nome di “Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”. Ora entra in scena, ad esempio, il divieto di iscrivere ipoteca su più immobili dello stesso proprietario e l’obbligo, a carico del Ministero dello sviluppo economico, di consultare l’Associazione bancaria italiana e le associazioni dei consumatori nella stesura del regolamento ad hoc per l’offerta dei prestiti vitalizi ipotecari.
Che Made in Italy sia
Se Made in Italy deve essere, che Made in Italy sia. È questo il senso della mozione che abbiamo approvato in settimana e che ha messo nero su bianco diversi impegni che andiamo chiedendo da tempo.
Il testo impegna il Governo, nell’ambito del semestre italiano di presidenza Ue, a far approvare il regolamento sulla sicurezza dei prodotti non alimentari, che prevede disposizioni sul ‘made in’ e che è stato finora bloccato dall’opposizione dei Paesi del Nord Europa. Altra richiesta è quella a sviluppare una lotta più dura ai fenomeni di contraffazione in campo alimentare ed extralimentare, innanzitutto attraverso una più dettagliata etichettatura. Si prevede così, per alcuni prodotti, modalità di inserimento volontario di sistemi specifici di sicurezza di identificazione elettronica e telematica.
La mozione impegna poi il Governo a chiedere alla Ue norme efficaci, rigorose, chiare e trasparenti in materia di origine dei prodotti, e a lanciare iniziative volte a rafforzare la tutela della denominazione Made in Italy nel campo delle produzioni agroalimentari.
Maroni l’ammazzaboschi
Molti di voi lo avranno letto sui giornali lombardi. La maggioranza di centrodestra che governa la Regione si è autoapprovata una legge che le associazioni non solo ambientaliste – penso al Cai – hanno definito ‘ammazzaboschi’. In sintesi, se finora si poteva tagliare un bosco di montagna, senza autorizzazioni e compensazioni, sebbene allo scopo di recuperarlo a fini agricoli, fino a 15 anni, Lega e compagni hanno portato questo termine a 30 anni. D’altra parte, in pianura, un terreno edificabile a scopo produttivo, abbandonato e soggetto a colonizzazione di piante spontanee, poteva essere ripulito fino a 5 anni dall’inizio del processo, mentre ora si può rasare al suolo il boschetto che ci è cresciuto sopra fino a 15, senza obbligo di compensazioni.
Cosa vuol dire? Che in montagna c’è un liberi tutti al taglio selvaggio, mi verrebbe da dire. E in pianura, tra cemento e campi già coltivati, nessuno si porrà più il problema di spianare radure senza recuperarle altrove. Sono intervenuto dritto nella polemica sollevata dai colleghi consiglieri regionali del Pd contro la maggioranza e l’assessore all’Agricoltura e ho detto che Regione Lombardia non si preoccupa di trovare la causa dell’abbandono dei pascoli e dei terreni fertili, ma ritiene più importante provvedere a somministrare alle sue comunità la solita terapia: consumo di suolo e sfruttamento della natura.
Perché di questo si tratta. Tanto è vero che la legge regionale sul consumo di suolo si è completamente arenata e questa sul recupero delle aree boschive immagina i boschi, che si sono sviluppati su terreni fertili che non vengono più coltivati, come una sorta di ‘fastidio’, ipotizzando di poterli abbattere senza problemi. Allora chiediamoci piuttosto cosa è stato fatto in tutti questi anni con i finanziamenti dei Piani di sviluppo rurale progettati ed erogati da Regione Lombardia, perché se invece di aiutare l’agricoltura a svilupparsi hanno contribuito all’abbandono dei terreni fertili e all’incuria del nostro territorio, significa il fallimento di quei piani di sviluppo.
Ora, per quanto mi riguarda, conto molto sui nuovi Psr che potranno aiutare a recuperare terreno fertile e a salvaguardare il territorio, visto che i fondi sono aumentati per la Lombardia, grazie alla nuova Pac, al Governo Renzi e al Ministro Martina.
Più soldi alla genealogia
Ho sottoscritto un’interrogazione che chiede lumi sulle Associazioni allevatori provinciali. Sull’intero territorio nazionale sono, infatti, in corso attività di riorganizzazione delle sedi in un’ottica di razionalizzazione dei costi, conseguenti anche al ridimensionamento delle risorse pubbliche stanziate. Passaggio che in molti casi si traduce nella chiusura o nell’accorpamento delle sedi provinciali, la cui funzione principale è la raccolta dei dati produttivi, degli eventi riproduttivi e delle genealogie presso gli allevatori che si associano.
In alcuni casi, però, questi interventi sembrano non considerare le peculiarità dei territori coinvolti e le realtà con maggior numero di capi. Inoltre, genera preoccupazione il rischio di non riuscire a mantenere la continuità dei servizi di assistenza agli allevatori, soprattutto nelle aree montane.
Per meglio capirci, la Lombardia è la regione in cui si controlla la metà dei capi italiani iscritti ai libri genealogici, dove maggiore è la presenza di bovini da latte e si effettua il numero più elevato di controlli e analisi quantitative: 450.000 capi bovini controllati, il 41% del totale nazionale; 10.000 caprini, pari al 13,4%; 14.300 suini, il 57%. I controlli riguardano, inoltre, quasi 5.500 aziende e 4,1 milioni di analisi del latte. Il 90% del latte lombardo proviene da vacche singolarmente sottoposte a controllo con prelievo mensile e rischia di venir fortemente penalizzata nonostante il Ministero dell’Agricoltura abbia
incrementato i fondi con un assestamento di bilancio pochi mesi fa.
Ed è proprio al Ministro che si chiede se sia a conoscenza della situazione e se non ritenga opportuno spiegare le modalità e i criteri in base ai quali i contributi pubblici vengono utilizzati, verificando che sia tenuto in considerazione il lavoro svolto dalle varie realtà provinciali e che siano rispettati i principi di proporzionalità ed efficienza.