L'intervento del Presidente del Consiglio Romano Prodi
Signor Presidente del Senato, signore senatrici, signori senatori, sono qui a riferire al Senato sulla crisi politica che si è aperta qualche giorno fa e sulla quale sono già intervenuto alla Camera ricevendo la fiducia.
Come avevo detto nell'Aula di Montecitorio, questa doveva essere l'occasione per parlare di giustizia, tema al quale si è intrecciata negli ultimi giorni la vicenda politica che ha spinto una forza della maggioranza ad aprire la crisi. Su quella vicenda mi sono già espresso sia sul piano personale che istituzionale, assumendo l'interim di un Ministero che ha operato con grande competenza e correttezza nei primi venti mesi di questo Governo, ma è giusto ribadire anche qui davanti allo stesso ex ministro Mastella la solidarietà mia e del Governo verso il senatore Mastella e contro le strumentalizzazioni che si sono moltiplicate con vergognoso opportunismo.
La relazione sullo stato della giustizia, frutto del rigoroso lavoro del Dicastero e condivisa pienamente dal Consiglio dei ministri, l'avete letta ed è a vostra disposizione, ma lasciate che ribadisca ancora una volta, anche se brevemente, l'importanza di un testo che mette in evidenza le luci e le ombre della giustizia italiana nella difficile fase storica che stiamo vivendo, che dà forte sostegno ai giudici, ai quali come potere e come ordine va l'apprezzamento e la riconoscenza del Paese, una relazione che chiede alla classe politica e al Parlamento un eccezionale impegno. La relazione sullo stato della giustizia è a vostra disposizione, così come lo sono le mie comunicazioni dell'altro giorno alla Camera.
Vorrei però soffermarmi un attimo sulle ragioni politiche e costituzionali che mi hanno portato al Senato oggi. Si parla infatti molto e da molto tempo di riforma costituzionale ed è vero che le istituzioni della politica, nelle norme costituzionali, ma anche nella legge elettorale e nei Regolamenti parlamentari, sono tra le cause prime della paralisi dell'azione di Governo e del pericoloso distacco fra i cittadini e la classe politica.
Mi si permetta di osservare che è però prima di tutto necessario rispettare e applicare la nostra Costituzione e voglio dirvi di più: sarebbe necessario innanzitutto rileggere la nostra Costituzione con lo spirito con cui i padri costituenti la scrissero; non vi troveremmo, se la rileggessimo così, la debolezza dell'esecutivo che paralizza chiunque segga a Palazzo Chigi, non l'ammissibilità di voti di sfiducia individuali nei confronti di singoli Ministri, né la prassi delle crisi extraparlamentari, né l'asservimento dell'informazione pubblica al potere politico.
Torniamo dunque con rispetto alla Costituzione del '48, ecco un'altra degna celebrazione del sessantennio che ricorre in questi giorni. La nostra prassi costituzionale, la nostra stessa lettura della Carta del 1948 è rimasta infatti quella che si era affermata in un'epoca che va sotto il nome della prima Repubblica, vera sede del potere erano i partiti, la continuità indispensabile ad un esercizio efficace di potere era fondata sull'assenza di alternanza, i Governi erano scelti non dai cittadini, ma da strutture di partito sottratte al controllo e ai rischi del voto popolare, la composizione del Governo era stabilita dalle segreterie dei partiti. Oggi, in un'epoca di alternanza e di affidamento agli elettori della scelta del Governo, quelle prassi sono residui del passato, residui che impediscono al sistema politico di operare in modo efficace a servizio dei cittadini.
Tutte le istituzioni dello Stato debbono allora impegnarsi innanzitutto a stabilire prassi costituzionali e modi di funzionamento dell'esecutivo e del legislativo più coerenti con le esigenze dell'oggi e – ne sono convinto – più corrispondenti alla volontà dei padri costituenti.
Anche per questo, anzi soprattutto per questo, ho deciso di essere qui oggi e di chiedere un voto esplicito e motivato a ciascuno di voi: nessuno può sottrarsi, nel momento in cui si adopera per far cadere un Governo, al dovere di indicare, nella sede stessa da cui il Governo trae la sua legittimazione, quale altro Governo, quale altra maggioranza, quale altro programma intende istituire al posto di quelli che, in conseguenza di un scelta fatta dagli elettori, sono legittimamente in carica.
Un dibattito come questo deve essere, quindi, un momento di costruzione; non può e non deve essere solo un possibile momento di distruzione.
Sono qui oggi dopo il voto alla Camera, che ha riconfermato la fiducia al Governo, per assumermi di fronte a voi tutti le responsabilità che mi competono, ma anche per chiedervi di giudicare il lavoro svolto da questo Esecutivo con pari senso di responsabilità.
Il Paese ha più che mai bisogno di essere governato, ha bisogno di continuità nell'azione di Governo e non può permettersi un vuoto di Governo. L'Italia ha, infatti, di fronte a sé tre emergenze. C'è un'emergenza sul piano delle istituzioni, con la necessità innanzitutto di riformare la legge elettorale. Io ho più volte ribadito – e lo ribadisco ancora – il mio impegno affinché ci sia il tempo per evitare al Paese di ricadere in un voto che lo condanni all'ingovernabilità.
C'è un'emergenza sul piano della politica internazionale: pensiamo a cosa sta capitando a Gaza, che è uno scenario nel quale abbiamo finalmente cominciato a muoverci con coerenza e rispetto e nel quale siamo impegnati con alte responsabilità.
C'è un'emergenza sul piano dell'economia perché anche i grandi risultati ottenuti possono essere vanificati rapidamente se non si persegue con rigore e coerenza la strada giusta.
L'Italia ha un grave ritardo da recuperare e dopo due anni di crescita soddisfacente rischia di trovarsi in una congiuntura mondiale avversa nella quale tutto può farsi difficile. L'instabilità finanziaria e l'aumento dei prezzi internazionali, il rallentamento della crescita del mercato mondiale e le tensioni protezionistiche sono difficoltà che noi affrontiamo con strutture economiche ancora da irrobustire, con scuole e università non adeguate ai tempi, con il peso enorme del debito pubblico, con uno Stato sociale incompleto e con disuguaglianze inaccettabili.
In 20 mesi abbiamo fatto tangibili progressi nel porre rimedio a queste carenze. Arrestare per mesi l'azione di Governo è un lusso che l'Italia non si può permettere. Per questi motivi, vi chiedo la fiducia assicurandovi che sono ben consapevole che il Governo stesso dovrà rafforzare le sue capacità decisionali, snellire le sue procedere, migliorare la sua resa, forse ridefinire le sue strutture e la sua medesima composizione. In una parola, io chiedo a ciascuno di voi, onorevoli senatrici e onorevoli senatori, fiducia per riprendere con rinnovato slancio e con nuova consapevolezza un processo riformatore di portata amplissima di cui il nostro Paese ha urgente bisogno.