Mi sembra interessante pubblicare questo intervento dell'On. Franco Monaco sul cambio della Costituzione previsto con la Mozione votata la scorsa settimana alla camera e al Senato.
Le considerazioni che vengono fatte sono alla base del Documento che ho anche sottoscritto. Ecco l'articolo :
SUL DOCUMENTO DEI 43 PD
Tutta l’attenzione politico-mediatica si è concentrata sulla mozione Giachetti relativa alla correzione ovvero alla cancellazione del porcellum. Ma, a mio avviso, più pertinente e non meno rilevante è stata la discussione che si è sviluppata nel PD circa il metodo adottato per avviare il processo di riforma della Costituzione, che era l’oggetto proprio della mozione di maggioranza. Ben 44 parlamentari PD hanno affidato a un documento politico le proprie riserve e preoccupazioni. Un modo per dare corpo a una posizione, rinunciando responsabilmente a formalizzare voti in dissenso. Coniugando così solidarietà con il gruppo e libertà di opinione su materia, quella costituzionale, che chiama in causa la responsabilità di ogni e singolo parlamentare. Provo a riassumere il senso di quel documento.
La deroga alla procedura ordinaria di revisione costituzionale è, ad avviso di autorevoli costituzionalisti, uno strappo alla legalità costituzionale. Un pericoloso precedente. Il secondo, in verità. Il primo fu operato nel 1997 all’atto dell’insediamento della bicamerale presieduta da D’Alema. Non un precedente rassicurante, né nei suoi profili istituzionali, né in quelli politici, né relativamente all’esito di essa. L’art. 138 è il più delicato degli articoli della parte ordinamentale della Costituzione. Il presidio del principio-valore della rigidità della Costituzione intesa quale strumento di garanzia (specie per le minoranze politiche). Esso risponde all’idea-visione della Costituzione come regola che presiede alla casa comune, come patto di convivenza che non ammette strappi. La quale visione appunto esige che eventuali cambiamenti siano largamente condivisi e seguano un procedimento complesso, non a caso definito “aggravato” dai giuristi. Giusto perché ci si rifletta bene. Non solo: l’art. 138 contempla revisioni puntuali della Costituzione, non la riscrittura di quasi tutta la sua seconda parte. Il parlamento, che è potere “costituito”, non può ergersi a potere “costituente”. Certo, esso è espressione della sovranità popolare, ma, come recita l’art. 1, essa “si esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione” stessa. Anche e, in certo modo, soprattutto, nelle procedure di revisione. Insomma, è persino dubbio che il presente parlamento, per di più eletto con una fortissima correzione maggioritaria, abbia mandato e legittimazione a riscrivere una parte così grande della Carta, come ci si propone di fare nel caso nostro.
La cosa curiosa poi è che sia il governo, paradossalmente “impegnato” a questo da una mozione parlamentare, a proporre una deroga a una procedura di stretta spettanza parlamentare. Un parlamento che si depotenzia! Che chiede al governo di ingerirsi in una materia delicatissima e che non gli compete. Questa bizzarria, questa forzatura affonda le radici in un peccato d’origine, all’atto dell’insediamento del governo Letta. Egli, nelle sue comunicazioni alle Camere per la fiducia, legò la sorte del governo e persino la sua durata (18 mesi) al buon esito delle riforme costituzionali. Legame improprio, essendo le riforme costituzionali materia eminentemente parlamentare, non di governo. Traspare evidente un equivoco politico: la confusione tra maggioranza di governo e maggioranze (al plurale) non precostituite che possono e devono liberamente prodursi in parlamento su questo o quel titolo oggetto di riforme a così ampio spettro. Su questo secondo fronte, ripeto, distinto da quello di governo, s’ha da dialogare con tutte le forze rappresentate in parlamento. Detto più chiaramente: la strana, necessitata maggioranza di governo non deve condizionare il libero dipanarsi in parlamento di diverse maggioranze sul terreno rigorosamente distinto delle revisioni costituzionali. Badando al merito, ai singoli e distinti titoli. Un equivoco – la confusione tra piano del governo e piano delle riforme costituzionali – di cui si rinviene traccia in coda al dispositivo della mozione di maggioranza, laddove si accenna all’ipotesi di una e una sola legge costituzionale complessiva (anziché di più leggi distinte per titoli cui fare seguire distinti referendum confermativi, come concordemente suggerito dai quattro saggi a suo tempo nominati da Napolitano). Non vorrei che il PD si vincolasse a riscrivere la seconda parte della Costituzione solo con il PDL in ragione della comune responsabilità di governo. Giusto dialogare con tutti, ma appunto con tutti. Non sarebbe facile spiegare al popolo democratico che, oltre a fare un governo con Berlusconi, ci si è impegnati a riscrivere la Costituzione con lui soltanto. Uno strano connubio: quelli (noi) che, con enfasi retorica, elevano inni alla Costituzione più bella del mondo o al PD come “partito della Costituzione” associati organicamente e in esclusiva a quelli il cui leader sino a ieri la bollava come Costituzione sovietica.
1 giugno 2013 Franco Monaco